sabato 10 ottobre 2015

Giorni ottusi



Un vecchio racconto, pubblicato qualche anno fa: un omaggio a Kurt e uno sguardo a ritroso a quel periodo della vita in cui spesso l'esistenza appare vuota e inconsistente.

                                                       

GIORNI  OTTUSI






                          4 APRILE 2004

                                                         
        Quando Kurt Cobain decise di uscire dalla merda e si sparò un colpo di fucile in testa, Dumb, il gatto di Simone, stava agonizzando sotto una pianta del suo giardino. Ma il suo gatto miracolosamente non morì, a differenza di Kurt Cobain, il cui corpo aveva già iniziato a puzzare quando finalmente qualcuno si decise a cercarlo. Il dio dei gatti o chi per lui aveva deciso di salvarlo: forse il dio dei gatti è più potente del dio degli umani. 

Ora il vecchio Dumb, che è anche il nome di un pezzo dei Nirvana, siede accovacciato sopra un maglione di Simone e lo guarda distratto. Simone lo ha accarezzato fino a poco prima, ma adesso sta scrivendo sul suo quaderno. Quando aveva iniziato a tenerlo si era sforzato di scrivervi dei suoi pensieri, di cosa gli accadeva,  quello che pensava della vita. Un giorno però aveva strappato le pagine scritte e aveva ricominciato. 

Ora è quasi completo. E’ pieno di parole strane, scelte tra quelle che più gli piacciono. Parole accostate tra di loro solamente perché  stanno bene insieme. Frasi senza senso, ma affascinanti. Frasi con della musica dentro. E poi frasi di canzoni. Trascrizioni di cori ultrà. Vecchi slogan politici. Frasi prese dalla pubblicità. Titoli di film dimenticati. Frasi in inglese, in francese. Persino titoli di riviste scandalistiche. Solo che in questo momento non gli viene nulla in mente, infatti sta scarabocchiando un angolo della pagina con un pennarello viola. Quando il suo cellulare squilla lo lascia suonare quattro, cinque volte, sperando che smetta. 

Poi risponde.

“Ciao Simo.”
“Ciao.”
“Come va? Ci si vede più tardi?” 
“Non ho molta voglia, è freddo. Mi andava di stare a casa....”
“Credo che dobbiamo parlare un po’, no? Ieri non ero... Niente, non ho capito delle cose. Poi voglio vederti.” 
“Sì.”
“Io alle cinque finisco il corso d’inglese, facciamo alle cinque e mezzo in sala giochi?”
“Possiamo parlare ora.”
“Per telefono, dai ! Poi non ho credito. Lo sai che mia madre ha saputo che ci vediamo ancora? Indovina chi glielo ha detto?”
“Senti, non me ne frega un cazzo. Va bene, facciamo le sei, alle sei al Pink Panther.”
“Stronzo... il cd me lo porti? Ce l’hai da tre mesi, avevi detto che te lo masterizzavi e poi me lo resituivi...”
“Ciao.”
“Eh, ciao!” 

Simone rimane a fissare il cellulare che ancora stringe nella mano; si alza, va verso lo stereo lo cerca un po', lo trova sotto una pila di cd masterizzati. Unplugged In New York, Nirvana; glielo aveva prestato Alessia due giorni dopo che si erano messi insieme. In ogni caso ora è suo. In ogni caso ora non prova più nulla per lei. Nulla, zero, nada... Persino un poco di fastidio quando pensa al suo modo di fare. Si stende sul suo letto e pensa che almeno un po' dovrebbe dispiacergli. La loro storia è moribonda... Però l'unica cosa che gli viene in mente sono le parole ridicole che lei gli sussurrava nell'orecchio l'ultima volta che hanno fatto sesso.
                                                            


                                                           
                                                   
                                                           5 APRILE 2004

Mentre lo scooter si affanna sulla strada non asfaltata esibendo polvere, rumore asmatico di motore, sobbalzi di ammortizzatori scarichi, nella sua mente appare  l’immagine mentale di Alessia che gli parla al Pink Panther.
Il suo sguardo accigliato o indagatore che cerca il suo, le guance piene e rosate, il gesto violento della mano che taglia l’aria. Le parole sensibili, intelligenti, appassionate, opportune. La luce del sole che le illumina il capo, i suoi capelli accesi di rosso e di arancione e perfino di rosa. L’orologio troppo grande e troppo verde che porta al polso. Le calze bianche senza ornamenti.

Ma  sembra un’immagine lontana, senza vita. Come guardare un film e non sapere nemmeno che titolo abbia. Così l’immagine lentamente svanisce. E guidare non è facile. La strada diventa sempre più scoscesa, le ruote dello scooter tendono a non far più presa su ghiaia e terra secca. E l’aria è sempre più fredda, ghiaccia  le mani senza guanti e il viso, cristallizza i ricordi, prosciuga la mente di slanci ed emozioni. Gli alberi sono nudi, i loro rami si muovono rassegnati come seguissero ordini incomprensibili. 

Dietro una curva a gomito appare una Nissan  blu, si avvicina rapida annunciando una nuvola di polvere bianca. Quando affianca lo scooter di Simone il guidatore lo fissa, lo squadra, piega appena la bocca in un gesto di disprezzo e noncuranza e derisione. Simone bestemmia, piega la mano in un saluto che vorrebbe essere ironico, invece gli viene un gesto violento e quasi lascia andare il manubrio; rallenta, guarda dallo specchietto se il tipo l’ha visto, fa per gridargli qualcosa ma la polvere bianca avvolge tutto in un indefinito latteo.

 Poi, dietro la curva  il sole, già un poco rosso e morente, e spazio aperto finalmente, una grande radura piena d’erba e cespugli e cavalli liberi. Simone prosegue ancora lungo la strada, fino ad arrivare in una piazzola dove un sentiero appena accennato si inoltra nel terreno erboso. Ma fa sempre più freddo e il cappuccio della felpa che porta sotto la giacca di pelle non può ripararlo dal vento. 

Prosegue lentamente, ingobbito sullo scooter, il naso ghiacciato, e si chiede perché è voluto venire fin lì. Non riesce a capire: aveva voglia di fare qualcosa, di muovere il destino, è così ?  Perché? Percepisce il vuoto dentro di se, un’assenza di tutto. Da quanti giorni è così? Da quanti anni è così? Ma lui non vuole risposte. Non vuole analizzare cause, scomporre motivi, sezionare ragioni. L'unica cosa che gli viene in mente è che oggi è il 5 Aprile, il giorno che Kurt Cobain decise  di ammazzarsi, esattamente dieci anni prima... E lui non ha nemmeno un cazzo di lettore mp3 x ascoltarsi un suo pezzo.

Ora sta fissando il sole, un rubino che gronda sangue e che  svanirà oltre l’orizzonte. I contrasti sono così netti che gli occhi gli fanno quasi male. E il profilo dei monti lontani è nitido, distinto, spietato. E’ tutto così assoluto! Lo scooter rallenta, poi si ferma. Ora è arrivato alla fine del pianoro. Sotto il precipizio. Sotto, nella piccola pianura, la sua città sembra una sorprendente distesa di bizzarre forme geometriche.  Basterebbe dare gas per... Basterebbe dare un po' di gas per volare. Non c’è un suono, un fruscio, un sussurro. E lui vorrebbe così tanto reagire... Gridare. Urlare, piangere. Afferrare il sole prima che sia troppo tardi. Ma l’unica cosa che riesce a fare è chiudere gli occhi.
                                                
                                               
                                               
                                               
                                                                             
                                             “Scortico il sole
                                               Cado addormentato
                                               Desidero andarmene
                                               L'anima è spregevole
                                               Lezione imparata
                                              Augurami fortuna
                                              Calma il bruciore
                                              Svegliami”

                                              Dumb, Nirvana  







[ORIGINARIAMENTE PUBBLICATO IN CARTACEO SULLA RIVISTA "LA  CATTIVA  NOVELLA"   - PROPRIETA' INTELLETTUALE DELL'AUTORE]