A cura del blog "La Kate dei libri" che ringrazio!
LA RECE DELLA KATE:
Come dico sempre, che io lo volessi o no,
sono letteralmente (e letterariamente) incappata nell’horror. O
l’horror è incappato in me? Comunque… le cose stanno in poco
posto: l’horror mi circonda, così come il fantastico. Le case editrici e
gli scrittori che trattano questo genere letterario mi vogliono bene e
io voglio bene a loro. Molto. Ma ho sempre pensato che non avrei voluto –
né mi farebbe gioco – fossilizzarmi su un genere solo, ché un genere
solo poi ti toglie energia, fantasia, ti toglie le parole di bocca, ti
toglie ossigeno dal cervello. Ma certamente non è facile inserirsi in
altri circuiti, soprattutto se buona parte del tuo blog è dedicato alla
letteratura di genere. Risultato? Ah, niente, gli altri libri me li
compro ahahahahaha!
Poi però ogni tanto capita la sorpresa.
Arriva un romance, un fantasy, un giallo… e io scodinzolo felice, perché
mettermi alla prova con altri generi mi piace e mi esalta. Un nuovo
genere significa nel novanta percento dei casi altre parole da
scegliere, altri circuiti mentali da attivare, altre persone a cui
parlare.
Capita anche che ti arrivi una antologia
via l’altra e tu pensi “Adesso basta”, perché le antologie sono facili
da recensire come un trattato di neuropsichiatria.
Ma ti arriva una mail, ti viene proposta una antologia che parla di ragazzi e tu non riesci a dire di no.
E dici di sì.
Subito, di getto.
Anche se avevi detto che di antologie e di raccolte di racconti ne avevi piene le scatole.
Anche se tu stessa scrivi racconti e dopo
aver letto tutte quelle antologie sei giunta alla conclusione che tu
una raccolta di tuoi racconti non la farai mai.
Insomma.
Pocofuturo.
Pocofuturo è un titolo che non mi piace, mettiamolo in chiaro sin da subito, così ci togliamo il dente e andiamo via svelti svelti.
Pocofuturo è una raccolta di
racconti che un giovane autore, Beducci, ha creato per noi nel tentativo
di immortalare, senza filtro alcuno, un mondo fatto non solo da
imprenditori, non solo da genitori, non solo da politici, non solo da
economi, non solo da grandi multinazionali, non solo da gente adulta che
ha già il potere (e che spesso lo sfrutta molto male), ma anche
da ragazzi. I ragazzi che spesso non vediamo, che fanno casino per
prendere aria, che sgranano gli occhi perché vogliono vedere, che
ballano e sballano perché troppo hanno visto, che soffrono senza
risposte; i ragazzi a cui spesso non si chiede “Come stai” e che, come
il protagonista del primo racconto, altro non cercano che lacrime da
piangere e qualcuno che accolga i loro silenzi. Poi c’è Giovanna, che va
troppo di fretta per vedere davvero; Cesare che confonde amore e
vendetta; Alice che sente nel petto un grido che somiglia alla parola
libertà; c’è Emma che sorride e dice di star bene; c’è Briciola, futuro
blogger, lucido e tagliente come una trappola per cacciatori.
Hanno tutti un nome, una storia e una
famiglia. Sono ragazzi come tanti, come noi, come i nostri figli. Ci
sono cose che capiscono bene (“Sono tutti zombizzati” dice Alice alla
sua amica) e ci sono cose che non capiscono affatto (ma la morte, chi la
capisce davvero?). Cose che possono fare e cose che non può fare
nessuno. E allora non resta che vivere facendo meno male possibile e
sentendo meno male possibile.
Perché gli ho dato 7?
Pocofuturo è un titolo
triste. Anche alcuni racconti lo sono. Altri invece no, o a me non è
parso. Non è una raccolta horror (anche se l’ultimo racconto…), insomma.
Sono racconti, punti di vista, idee sparse sulla vita. Che detta così
viene da dire Uh santa paletta che due palle, arriva il filosofo!
Invece no.
Invece no!
A parte che finalmente sono incappata in
una raccolta di racconti breve (qualcuno lassù mi ama), sono anche
incappata in una voce giovane, fresca, umile, gentile. Gentile anche
quando parla di cose non bellissime, anche quando non c’è lieto fine
alcuno, anche quando non ce lo aspettiamo.
Non è un urlo, non è un sussurro
altrettanto spaventevole: è il quieto chiacchierare di chi vuole dirci
qualcosa senza scioccarci, con il solo intento di metterci a conoscenza
di qualcosa che gli preme. Una voce limpida, ferma e sicura. Uno sguardo
a fuoco che non è disfattista ma nemmeno inutilmente edulcorante.
Il lettore viene catturato da una
prosa veloce che non è mai sincopata o dall’effetto “avevo il caffè sul
fuoco” ma comunque lieve e sincera e modesta e quindi, nonostante tutto e
per una volta, tranquillizzante.
Il mio racconto preferito? Io ho ragione.
Una chiusa spettacolare e, purtroppo, molto molto vera. Siamo
disattenti, rabbiosi, incivili. Quando abbiamo ottenuto ciò che vogliamo
passiamo all’obiettivo successivo, alla prossima lotta, alla prossima
sberla da dare. Vogliamo cose, stringiamo con i denti, ringhiamo come
cani ammalati e alla fine vogliamo solo quello: non l’oggetto del
contendere, non la vittoria. Solo la lotta. L’adrenalina della
battaglia. Mors mea, vita tua.
Pollice alto quindi per questa breve raccolta (dal titolo brutto) che, però, sa far sentire la sua voce.
Non badate al titolo. Per me il titolo
doveva essere Moltofuturo, perché nonostante tutto per queste persone
c’è un futuro, c’è possibilità, c’è tutto un ventaglio di colori. Ed è
vero che attorno a loro c’è gente dal pocofuturo, ma bisogna pensare a
loro, al loro Moltofuturo.
Scaricate il file.
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